MONET A GIVERNY

di Renata Giannecchini
“Il mio giardino è il mio più grande capolavoro”, così Claude Monet definiva il suo giardino di Giverny a pochi chilometri da Parigi, nella verde Normandia. In effetti il giardino di Giverny è la tela dove ha dipinto il suo quadro più bello. Oltre la pittura, la botanica era la sua più grande passione e la usò proprio per perfezionare la sua arte. Trascorse tutta la vita cercando di catturare nei suoi dipinti la luce e i suoi riflessi sull’acqua, in una ricerca ostinata e quasi morbosa. Il suo giardino era innovativo per quel tempo, proprio come il suo stile pittorico. Fu la principale fonte di ispirazione a cui attinse: nutrì la sua arte e contribuì a perfezionare la sua pittura. Più che un giardino, Giverny era per Monet un atelier en plein air, un luogo creato appositamente per poter dipingere e studiare il mutare della luce, dei colori e dell’acqua.
L’arrivo a Giverny
Ormai quarantenne, Monet cercava un posto dove vivere con la sua seconda moglie Alice e la sua numerosa famiglia. Un giorno, il treno su cui viaggiava si fermò proprio a Giverny, perché lungo i binari erano in corso i festeggiamenti per un matrimonio. Il pittore guardando fuori dal finestrino rimase folgorato dalla bellezza del luogo. Così, nel 1883 decise di trasferirsi, prima in affitto, poi acquistando una modesta casetta con fienile, che divenne il suo atelier.
La casa si affacciava su un frutteto e su un orto, che Monet rimosse per dare spazio ai fiori e creare il suo giardino: il Clos Normand.

La casa si affacciava su un frutteto e su un orto, che Monet rimosse per dare spazio ai fiori e creare il suo giardino: il Clos Normand.
Per realizzarlo, fece trasportare in loco centinaia di sacchi di terra sciolta per migliorare la qualità del terreno presente, che era molto gessoso. Studiò libri di botanica e si iscrisse a “Country Life”, una delle riviste di giardinaggio più ricercate del momento. Acquistò semi, bulbi e piante da Vilmorin e Truffaut, due prestigiosi vivai francesi tuttora esistenti. Tulipani, narcisi, iris, peonie, dalie, nasturzi, gladioli, crisantemi erano alcune tra le sue piante preferite.
Pur occupandosi personalmente del giardino, sia per ciò che riguardava la progettazione che la sua cura, si faceva aiutare da alcuni fidati giardinieri, i quali dovevano eseguire i suoi ordini alla lettera, specie quando si allontanava da Giverny per qualche viaggio. Esigeva che il giardino fosse sempre in ordine, per questo i capolini sfioriti dovevano essere rimossi di continuo. Seminava e piantava studiando attentamente gli abbinamenti di colore. Usava, per esempio, gli arancioni per esaltare i blu, proprio come faceva nei suoi dipinti. Una serie di archi metallici delimitavano il sentiero che dal cancello di ingresso conduceva alla porta di casa. Su di essi si arrampicavano rose e clematidi. A destra e a sinistra del vialetto, era tutta una profusione di fiori e di colori dalla primavera all’autunno. I fiori venivano piantati in gradazione di colore, sistemando a ovest i toni più caldi che venivano illuminati dal sole al tramonto e a est quelli più freddi che ricevevano la luce dal sole del mattino. In questo modo l’artista poteva studiare i colori dei petali man mano che la luce mutava.
Il giardino delle ninfee
Monet amava l’acqua e con essa aveva un legame indissolubile, l’aveva raffigurata per anni nelle sue tele. L’acqua era l’elemento che mancava per completare il suo giardino e voleva ottenerla a tutti i costi. Così, nel 1890, acquistò un fondo al di là della strada e per realizzare uno stagno deviò il corso del fiume Ru, un affluente dell’Epte. Claude Monet era un uomo testardo, difficilmente si riusciva a tenergli testa. Nonostante le forti opposizioni dei suoi concittadini e le opinioni contrarie di diversi ingegneri, iniziò, quindi, le opere per la realizzazione del suo giardino acquatico, le jardin d’eau, che richiesero ben dieci anni per essere completate.

Le jardin d’eau richiese ben dieci anni per essere completato.
Nel suo stagno inserì i nuovi ibridi di ninfee creati da Latour-Marliac, che aveva potuto ammirare all’Esposizione Universale di Parigi del 1889. Si trattava di ninfee dai bellissimi colori, mai viste prima. Anche per questo i concittadini di Monet si opponevano al suo progetto, poiché temevano che queste nuove piante potessero inquinare le acque, creando problemi alle colture locali. Arricchì il suo giardino acquatico con salici piangenti, bamboo, pioppi e con un ponte giapponese su cui si intrecciano tutt’oggi delle piante di glicine.
Finalmente era riuscito nel suo intento di piegare la natura alle sue esigenze pittoriche e aveva trovato il soggetto perfetto per raffigurare la luce e l’acqua: le ninfee. Iniziò a dipingerle in modo ossessivo per catturarne la bellezza e lo fece fino alla morte, nonostante una grave malattia agli occhi che gli impediva di percepire correttamente i colori e le forme. Nel 1909, presentò a Parigi alcune delle tele dedicate alle sue ninfee e riscosse un incredibile successo: finalmente era diventato un pittore famoso.

Le ninfee: soggetto perfetto per raffigurare la luce e l’acqua
Gli ultimi anni a Giverny
All’apice del successo Monet dovette affrontare gravi prove personali. Nel 1910 la Senna esondò e il suo stagno ruppe gli argini distruggendo gran parte del Clos Normand. Di lì a poco, la perdita della seconda moglie Alice per leucemia e quella del primo figlio Jean, lo segnarono profondamente. Nel 1912 inoltre gli fu diagnosticata una grave forma cataratta bilaterale. Tutto questo ebbe un forte impatto sull’equilibrio psicologico dell’artista, che decise di non dipingere più. George Clemenceau, primo ministro francese e grande amico di Monet con cui condivideva la passione per il giardinaggio, riuscì però a convincerlo a tornare alle sue tele. Il pittore riprese a dipingere incessantemente e neanche lo scoppio della Prima Guerra Mondiale lo distolse dalla pittura. Dipingeva per non vedere l’orrore della guerra e per trovare sollievo alla sua sofferenza.
Proprio in questo periodo iniziò a lavorare a delle grandi tele raffiguranti le ninfee del suo jardin d’eau. Un progetto imponente da lui definito “La Grande Décoration“, che lo impegnò fino alla morte, avvenuta nel dicembre del 1926. Queste tele furono la sua risposta alla follia e alla crudeltà della guerra. Alla fine del conflitto decise di donare alcuni di questi dipinti allo stato francese. Grazie a Clemenceau a queste opere fu dedicato un intero museo, quello dell’Orangerie des Tuileries a Parigi. Monet stesso ne disegnò le sale, di cui studiò minuziosamente l’illuminazione. Il suo intento era quello di far apprezzare ai visitatori il cambiamento dei colori con il mutare della luce nel corso del giorno, proprio come avveniva nel suo stagno. L’inaugurazione delle sale avvenne dopo la sua morte e purtroppo le sue opere non furono apprezzate, con grande dispiacere del suo vecchio amico Clemenceau. Solo nel 1950, grazie all’interesse mostrato dagli artisti americani che aderivano all’Espressionismo astratto, “Les Nymphéas” ebbero il giusto riconoscimento che meritavano.
La rinascita del giardino di Giverny
Dopo la scomparsa di Monet, fu la figlia Blanche a prendersi cura del giardino del padre. Alla sua morte, avvenuta nel 1947, il giardino andò, però, lentamente in abbandono. Solo alla fine degli Settanta l’Accademia delle Belle Arti, che aveva ricevuto Giverny in lascito da Michel Monet, affidò a Gérald Van der Kemp, già curatore della Reggia di Versailles, il restauro del giardino.

Gérald Van der Kemp, già curatore della Reggia di Versailles, grazie ad un accurato restauro, ha riportato in vita il giardino di Monet.
Questi, aiutandosi con le fatture degli acquisti di semi e piante fatti a suo tempo da Monet, con le tele dipinte dall’artista e con alcune foto che ritraevano il giardino nel pieno del suo rigoglio, è riuscito a restituirci un giardino molto simile a quello che Monet dipinse con tanta dedizione e passione per gran parte della sua vita.
Renata Giannecchini @rosapaeonia
Per le foto di questo articolo © Photo credit: Pexels, Unplash
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