LA STAGIONE IN TRANSITO

di Emanuela Borgatta Dunnett
“L’altra notte sognai di ritornare a Manderley… “
L’indimenticabile incipit di “Rebecca”, il più celebre romanzo di Daphne Du Maurier, venne superbamente trasposto, sul grande schermo, da Alfred Hitchcock nel 1940. Le atmosfere opprimenti, il mare in tempesta e lo sguardo severo della Signora Danvers, sono elementi squisitamente hitchcockiani che rendono impossibile immaginare il castello di Manderley in atmosfere diverse da quelle autunnali.
Il classico della scrittrice inglese è una storia visionaria, la cui protagonista si ritrova in costante confronto con un’antagonista invisibile, resa viva e temibile dagli altrui ricordi. Una trama dal fascino retrò assolutamente impeccabile che, dal 1938, incanta i lettori di tutto il mondo, grazie al mistero che regna sovrano in ogni pagina.
atmosfere cupe caratterzzano il film “Rebecca, la prima moglie” di Alfred Hitchcock – Photo credit wikimedia.org
Pagine che svelano, altresì, un indizio non semplice da individuare.
Il primo frammento di Rebecca concesso ai lettori è, infatti, quello di una donna in rosso, intenta a partecipare ad una serata di gala. L’abito diviene ancor più iconico, quando scopriamo che fu la fonte di ispirazione primaria per la stesura dell’opera.
Non si tratta di un abito di fantasia. La Du Maurier prese spunto dal “Ritratto di Mrs Hugh Hammersley” (1892, oggi al MET di New York) di John Singer Sargent. Il dipinto soggiogò a tal punto l’autrice da tornarle in mente nei giorni di stesura di “Rebecca”, durante un viaggio in Egitto a seguito del marito diplomatico.
Il viaggio si rivelò estenuante e la fece sentire profondamente inadeguata al cospetto dell’alta società del luogo. Per questo motivo, dedicandosi alla scrittura del romanzo, si ritrovò quasi in lotta con la dama del quadro che tanto l’aveva colpita prima della partenza e che, ora, pareva evidenziarle la sua inadeguatezza, con tutta la sua scintillante eleganza.
Difficile darle torto. Il dipinto di Sargent sfida la perfezione ritrattistica di Boldini, raffigurando un salotto della high society che perfettamente si rispecchia nei gesti naturali di Mrs Hammersley, così come nel suo abito rosso dalle calde note autunnali, impreziosito dalla dolcezza spavalda del suo sorriso.
Di diverso respiro, un altro ritratto dell’epoca: il profilo di Rose La Touche ad opera del critico inglese John Ruskin. Il pastello del 1872, ritrae l’amata Rose in un momento meditativo con il capo adorno di fiori. Rose fu il centro degli ultimi anni di vita di Ruskin, in un sottile gioco di seduzione che la vide amante bambina e figura angelicata, paragonata dallo stesso critico a Sant’Orsola.

Il loro rapporto è magnificamente scandagliato, dalla penna di Rebecca Lipkin, nel suo: “Unto this last” (2020, per ora disponibile solo in lingua inglese per la Book Guild). Romanzo autunnale par excellence, da molteplici tazze di tè e giornate uggiose, che vi condurrà per mano attraverso l’Inghilterra vittoriana e vi farà scoprire il lato più oscuro di Ruskin.
Rimanendo in ambito vittoriano, sovviene una tela ancor più nostalgica ad opera di John Atkinson Grimshaw del 1882, dal titolo: “Autumn Regrets” (Shipley Art Gallery, Gateshead). Cosa rimpiange la donna di nero vestita, mollemente adagiata su una panchina e quasi avvolta dal calore del fogliame? Le stagioni atmosferiche e quelle della vita stessa sembrano convivere nel suo sguardo malinconico e paiono ricordarci l’eroina de: “Al Faro” di Virgiania Wolf.
Mrs Ramsay è una donna-mondo, fulcro dell’intera trama del romanzo del 1927. Un racconto familiare diviso in tre parti, dove è proprio l’autunno a farla da padrone. Là dove l’estate domina la prima e la terza parte della storia, è la stagione intermedia a narrare, in poche pagine, quel che resta della famiglia Ramsay al termine del Primo Conflitto Mondiale.
Cosa rimane di noi al cospetto dell’ineluttabile? È ben chiaro, altresì, nelle acque dipinte da Egon Schiele, nel 1907, ad appena 17 anni. Ne: “Il Porto di Trieste” del 1907 (Leopold Museum, Vienna); le onde che rappresenta nel mezzo di un tramonto autunnale triestino, sono evanescenti ma dominate dalla sua pennellata geniale ed inconfondibile, quasi presaghe del destino crudele che lo vedrà vittima della Spagnola nell’ottobre del 1918, a soli 28 anni.
Un fato che ricorda, con un ultimo salto spazio-temporale da Vienna a Parigi, quello dell’attore Gérard Philipe, morto a 36 anni per un male che non gli lasciò scampo (taciutogli dalla moglie) la quale gli concesse, così, un ultimo autunno di studi per prepararsi ad interpretare personaggi che non videro mai le assi di un palco.
L’ultimo autunno del Cid (come è noto, ancora oggi, in Francia grazie al suo ruolo più celebre) è al centro di due romanzi che ne prendono in esame i restanti mesi di vita.
“Breve come un sospiro” (Edizioni e/o) e “Gli Ultimi Giorni di Gérard Philipe” (Piemme Editore), tuttavia, non devono trarre in inganno per il loro contenuto. Sono, infatti, due opere brevi piene di vita e coraggio, scritte rispettivamente dalla vedova Anne, qualche anno dopo la morte di Philipe (avvenuta nel 1959) e, più recentemente, dal genero postumo: Jérome Garcin, marito della figlia di Philipe: Anne-Marie. Un dialogo muto e meraviglioso che pare rubare all’autunno la sua vera essenza di custode silenzioso, al quale è bello abbandonarsi, fra miti ricordi e più rigidi presagi.
Emanuela Borgatta Dunnett
In copertina: Ritratto di Mrs Hugh Hammersley” (1892, oggi al MET di New York) di John Singer Sargent ©Photo credit: Wikimedia.org
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