di Elizabeth Giselle Cespedes Gonzalez |

 

“Le Japon sort de la mer. 

La mer l’a rejeté comme un coquillage de nacre. 

La mer garde le droit de le détruire et de le reprendre”.

(Jean Cocteau)

 

Il Giappone è una meta con una cultura profondamente diversa

dalla mia, dalla nostra, ma dentro di me sentivo in qualche modo già di conoscerla, complici anche gli anime e i manga che divoravo nel tempo libero dallo studio sin dalle scuole medie.

Così, quando ho saputo di poter fare questo viaggio, mi sono preparata come meglio credevo.

Avendo a disposizione solamente 14 giorni, sono stata costretta a scegliere coscienziosamente le mie tappe, poiché l’isola principale è molto vasta e racchiude in sé uno sconcertante numero di paesaggi differenti,
dal mare alla montagna, dalla metropoli al villaggio isolato, dall’estrema modernità alla ruralità più autentica e tanto altro ancora, tenendo conto anche del limite imposto dal trasporto
solo mete raggiungibili con il treno, quindi, preferibilmente lo Shinkansen per risparmiare tempo.

KANAZAWA

Oltre alle imperdibili Tokyo, Kyoto e Osaka, la mia scelta è ricaduta anche su Kanazawa, cittadina situata sulla costa ovest dell’isola principale di Honshu, nella prefettura di Ishikawa.
Il risultato? Non me ne sono affatto pentita, anzi.

©Photo credit: Paola Casulli @incanto_errante

Il primo impatto con la città avviene dunque alla stazione ferroviaria, di costruzione recente e con un’architettura moderna con tanto di cupola di vetro chiamata “Motenashi”, ovvero “Cupola di benvenuto”,
ed è proprio questa la sensazione che si ha costantemente a Kanazawa.

Allontanandomi di poche centinaia di metri in direzione della mia Guest House mi sento addirittura come in un borgo, e non certo in una località che ospita più di 450 mila abitanti,
incredibile se si pensa che nel periodo Edo (1603-1868) questa era la quarta città più grande del Paese!

LE VECCHIE CASE CHAYA E LE RESIDENZE DEI SAMURAI

Kanazawa ha una particolarità che purtroppo non molte altre tappe giapponesi possono vantare: non è stata un bersaglio militare durante la Seconda Guerra Mondiale,
per cui è possibile ammirare l’evoluzione urbanistica nel corso della storia, visitando per esempio il quartiere di Higashi Chaya con le sue vecchie case Chaya, dove le geishe tenevano i loro spettacoli e le loro feste.
Nel distretto di Nagamachi si possono esplorare invece alcune residenze di potenti famiglie di samurai, oppure quelle degli Ashigaru, i soldati di basso rango con case molto semplici dove sembra che il tempo si sia fermato
(complice anche il divieto di transito di auto in queste piccole stradine).

Sembra insomma di fare un viaggio nel tempo mentre si cammina per queste tortuose stradine:
mi sento davvero privilegiata nel poter conoscere da vicino i dettagli di una civiltà apparentemente perduta ma della quale si può tutt’oggi apprezzare l’influenza nei modi di fare dei propri cittadini.

©Photo credit: Paola Casulli @incanto_errante

La scelta della Guest House dove dormire è stata più che altro un’imposizione data dal fatto che la città non vanta molti alberghi,
ma col senno di poi la ritengo una grande fortuna perché mi ha consentito di conoscere Midori, la padrona di casa,
una signora sulla cinquantina che parlava un po’ di inglese e che molto cordialmente mi ha raccontato qualche aneddoto sulla sua città,
oltre a consigliarmi di mangiare il miglior sushi di Kanazawa al mercato Omicho.

È stata proprio lei a spiegarmi poi che questo centro urbano ancora oggi non è molto turistico perché lo Shinkansen lo collega alle “altre” metropoli giapponesi solo da pochi anni,
più precisamente da marzo 2015, e quindi le strutture ricettive non si sono ancora attrezzate e che gli stessi cittadini non sono ancora molto ospitali…

Sarà, ma a me le persone del posto hanno dato tutt’altra impressione!

©Photo credit: Paola Casulli @incanto_errante

Credo infatti che sia nel loro DNA, come ho potuto constatare durante questo viaggio i giapponesi sono estremamente cordiali,
anche se siamo abituati a vedere il loro distacco affettivo – emblematico è il loro saluto con inchino – oppure il loro maniacale rispetto delle regole,
ad esempio il divieto di fumare per la strada bensì solo nelle aree adibite, oppure ancora il rigore nel fare la fila (quanto amano fare le file loro, nessuno mai!)…

Eppure, non si sono mai tirati indietro nel momento in cui ho chiesto il loro aiuto per trovare un determinato ristorante o locale dove mi hanno personalmente accompagnata fino all’uscio.

Questo gesto, di guidare la persona anziché dare delle semplici indicazioni, è una gentilezza volta a evitare di mettere in imbarazzo chi ci sta davanti nel caso in cui le indicazioni non vengano comprese.

I giapponesi, in generale, tengono tantissimo a non offendere l’interlocutore, non ti diranno mai “non ho capito” ma risponderanno piuttosto con un ampio sorriso.

©Photo  credit: Paola Casulli @incanto_errante

Certamente tutto questo non avrei mai potuto verificarlo se mi fossi limitata a fare la “turista” nella grande metropoli tra catene alberghiere e ristoranti fast food, ma è questa, secondo me, l’essenza del  viaggio:
poter portare a casa oltre alle immagini e i sapori anche il sorriso della gente di ogni angolo del mondo.

IG @lizviajera

 

Traduzione del brano in incipit

(Il Giappone sorge dal mare.

Il mare l’ha respinto come una conchiglia di madreperla.

Il mare conserva il diritto di distruggerlo e di riprenderselo.)