di Agnese Torre

Quando non serve essere attori per vivere l’empatia

A teatro si parla spesso di immedesimazione. Per spiegarlo brevemente, un attore quando si appresta a lavorare ad uno spettacolo, inizia un percorso di studio che lo aiuterà nella sua capacità di sapersi immedesimare nei panni di un personaggio.

Questo vuol dire riuscire a esprimere, attraverso il proprio corpo, la propria voce e i propri movimenti, la meravigliosa arte di donare la vita ai modi di fare, e di espressione emotiva di un’altra persona attraverso di noi.

Immedesimarsi nel personaggio per un attore è il fine del suo studio per far sì che questi possa trasmettere qualcosa al pubblico.

Nella vita di tutti i giorni, siamo abituati a pensare all’immedesimazione specialmente quando ci troviamo in situazioni di difficoltà. Ad esempio se c’è qualcosa che ci sta facendo soffrire o sta facendo soffrire una persona a noi cara, e cerchiamo di metterci nei suoi panni per donarle conforto, sviluppando empatia, oppure è quell’attenzione che vorremmo che gli altri ci donassero, ed è per quello che raccontiamo la nostra storia.

 

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L’immedesimazione quindi, se utilizzata per entrare in contatto con l’altro, ci porta ad un livello di ascolto e di comprensione profondo che può aiutarci a conoscere meglio noi stessi, ma anche gli altri.

Questo avviene perché la nostra mente funziona per analogie, e quando viviamo qualcosa cerchiamo immediatamente un’affinità che sia questa emotiva o che sia simile alla situazione che sta vivendo la persona con la quale vogliamo entrare in contatto.

Nel preciso istante in cui ci sentiamo compresi da qualcuno, il nostro interlocutore è riuscito ad immedesimarsi in noi e quindi a compiere tale passaggio.

A teatro è lo stesso, ma vale anche per la musica, per la poesia e per i libri.

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Quando attraverso le parole di un attore ci sentiamo coinvolti nella situazione è perché questa risuona in noi.

Il teatro porta lo spettatore a vivere in prima persona una storia che può parlare anche del vissuto personale di qualcun altro.

Quando ci rifugiamo nell’arte, che sia questa visiva o rappresentativa è perché sentiamo dentro di noi l’urgenza del cuore di sentirsi amato attraverso l’universalità della parola.

A teatro, come al cinema, solitamente si è spettatori passivi, perché si sta seduti e si riceve qualcosa dagli attori che interpretano lo spettacolo, oppure dal film che stiamo vedendo, se analizziamo il piano emotivo, anche da seduti su una poltrona o su un divano, stiamo partecipando ad una condivisione empatica che ha un altissimo livello.

Noi grazie all’immedesimazione entriamo nelle vite degli altri, gioiamo con loro, amiamo e soffriamo con loro, abbiamo paura, e quando tutto finisce l’eco di quello che abbiamo vissuto resta vivo dentro di noi, potrebbe addirittura averci insegnato qualcosa.

Perché ognuno ha la sua storia, ma l’arte ci dona un potenziale infinito, perché ci fornisce tutti gli strumenti per poter a vivere attraverso la sua bellezza la vita degli altri.

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Questa immedesimazione, che avvenga attraverso un attore, o attraverso le parole scritte o ascoltate in una canzone, aiuta l’essere umano non solo a sentirsi meno solo, ma ci aiuta a sentirci parte attiva di un cerchio emotivo che pone le sue basi nella nostra capacità di immedesimazione, e per poterlo fare non bisogna necessariamente essere attori, ognuno nella sua vita praticando l’empatia, può essere al contempo luce e conforto per chi gli sta intorno.

 


Agnese Torre (@agnesetorre_) Romantica, testarda, sognatrice, ha fatto del teatro la sua vita. Con una valigia piena di personaggi da interpretare e tante storie da raccontare, guarda la vita con la curiosità di una bambina e i piedi per terra di un’adulta, sempre in cammino verso nuove avventure. Laureata in Sociologia ed attualmente laureanda Magistrale in Scienze della Comunicazione presso l’Università di Roma Tre, ha intrapreso una formazione improntata sul sociale, la comunicazione e il digital marketing.

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