di Ilaria Rigoli

Maria, una giovane donna nata nel Polesine, coltiva il sogno di diventare architetto e di sfuggire a un destino, plumbeo ed eguale come il cielo sotto cui è nata, che la sua famiglia sembra dare per scontato. Dopo la laurea trova un impiego a Bologna, presso un prestigioso studio in cui la sua caparbietà e la sua determinazione possono trovare il giusto apprezzamento. L’indipendenza cittadina è lì, tra le sue mani: eppure Maria rimane legata da un filo tenace e fangoso alla provincia, perché lì vive Luca, l’uomo di cui è innamorata e che la tiene da tempo in sospeso, con un amore solo di parole e senza concretezza.

La prosa scorrevole di Germana Urbani ci conduce in questo romanzo di acqua e di fango: sullo sfondo il paesaggio unico del delta del Po, con la sua storia di alluvioni e di morti per acqua, con la sua fauna volatile e le sue sabbie mobili.

In primo piano c’è proprio il fango della storia di Maria: una donna che, quasi raggiunto il sogno di “andare via dal Delta e dimenticare la sua gente limacciosa e triste”, rinuncia a tutto per assecondare Luca, l’uomo che le impone un rapporto asimmetrico in cui lei risulta sempre l’annegata, e lui è sempre quello che rimane sulla superficie dell’acqua, vivo e indifferente.

La vicenda si dipana su diversi piani narrativi: il presente tragico di Maria, abbandonata e beffata, e il passato della sua storia con Luca. Mentre il lettore indovina subito il destino di Maria, lei sembra essere l’unica a non rendersene conto: nella narrazione Urbani è abilissima nell’accumulare, proprio come l’acqua del fiume che piano piano minaccia di esondare dall’argine, scene e dettagli che lasciano presagire l’annegamento, ossia la sconfitta della protagonista, di cui il lettore è subito messo a parte. E sempre, come sottotesto, scorre la geostoria del Delta, un controcanto acquatico che funge da specchio.

©Photo credit: pixabay

La storia del Polesine è descritta come una vicenda di resistenze a tratti caparbie e a tratti ottuse contro la forza corrosiva della natura: un destino che sembra scritto nel DNA di chi ci abita, destinato a o scegliere, come i fratelli di Maria, di restare “piantati dove sono nati, lavorando”, o a scappare come Maria, senza riuscire mai però a ripulirsi da quel fango “che anche fuggendo lontano ti rimane addosso”.

Fango, acqua, sabbia: la scrittura di Germana Urbani costruisce immagini con una cromia nitida e quasi fotografica. Alterna alla vastità e alla dolorosa bellezza dei paesaggi del Delta la piccolezza e la grettezza in cui Luca fa sprofondare Maria.
A ben vedere, nel descrivere questo Polesine che ingloba e sostanzia la storia di questa donna, Germana Urbani sembra riflettere sulla vita della provincia italiana in senso lato. E’ la provincia che innamora e imprigiona chi ci abita e ci nasce, da dove si vuole fuggire ma alla quale si rimane sempre legati. Una provincia un po’ da cartolina turistica, un po’ da fotografia d’arte, bellissima e misera al tempo stesso, che intrattiene con la città un rapporto asimmetrico e crudele come quello tra Maria e Luca: forse la vera essenza della vita italica, protagonista tra l’altro anche di tanto interessante cinema italiano degli ultimi tempi.

Germana Urbani, Chi se non noi © Photo credit: Elena Vitali @elena_gazettedubonton

Con delicatezza, eppure senza risparmiare i colpi e la franchezza nell’esplorare cosa gli esseri umani sono capaci di farsi l’un l’altro, Urbani scava in questo fango di sentimenti. La prosa è asciutta, netta, sincera; mai pomposa, sempre essenziale e profonda: come certe fotografie che colgono il punto giusto di luce, e svelano senza spiegare.

Germana Urbani, “Chi se non noi”, Edizione Nottetempo, Milano 2021

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In copertina: ©Photo credit: Quang Nguye Vinh via Pexels