CENTO ANNI DEL VITTORIALE

Intervista a Valentina Raimondo |
A cento anni dalla creazione del Vittoriale degli Italiani,
così come lo immaginarono Gabriele d’Annunzio e Gian Carlo Maroni,
salutiamo il primo volume interamente dedicato alla sua storia.
Ricco di documenti, aneddoti e scoperte, il libro, a cura di Valentina Raimondo, promette di diventare un testo imprescindibile nella comprensione di un capolavoro architettonico, di cui il Vate intuì il potenziale, facendone la sua eterna opera d’arte.
Abbiamo posto qualche domanda in merito all’autrice, per scoprire ulteriori dettagli su una dimora-museo, unica al mondo.
Il Vittoriale degli Italiani è una dimora unica nel suo genere. In quali scoperte si è imbattuta durante la sua ricerca, atta a ricostruirne le vicende salienti?
È davvero così, un luogo unico nel suo genere e ripercorrere, attraverso i documenti, la sua storia è stato estremamente interessante dal punto di vista del lavoro di ricerca.
Era già stato pubblicato tanto sul Vittoriale nella sua prima fase di vita, quella che potremmo definire dannunziana, anche se, proprio mentre ripercorrevo nel racconto le vicende che hanno portato alla sua costruzione mi sono imbattuta, grazie al Presidente Giordano Bruno Guerri e alle persone che lavorano negli Archivi del Vittoriale, in un documento di grande importanza.
Si tratta della lettera che Gabriele d’Annunzio invia a Giannino Omero Gallo il 15 marzo 1917 in cui per la prima volta adopera il nome Vittoriale. In quel caso il Comandante usa il nome come titolo per un libro. Gallo gli aveva chiesto infatti di tenere a battesimo il volume sugli ospedali di guerra che aveva scritto. D’Annunzio in un primo momento gli suggerisce di usare il nome Vittoriale, ma successivamente ci ripensa e gli chiede di tenere il nome per sé. Già nel 1917 aveva quindi in mente di realizzare un’opera intitolata Vittoriale. Non sappiamo naturalmente se stesse pensando di adoperare il nome per un luogo, è più probabile che lo volesse usare per un’opera letteraria. Alla fine lo userà per il “libro di pietre vive” che è la sua dimora e che è la sua ultima grandiosa opera d’arte. Oltre a questa scoperta, che è stata molto importante, ce ne sono state molte altre. Tutto ciò che accade dopo la morte di d’Annunzio non era stato scritto e dunque quasi tutte le notizie in cui mi sono imbattuta sono state in un certo senso nuove.

Il Vittoriale degli italiani. La facciata della Prioria attorno alla quale si sviluppò il progetto dell’ architetto Giancarlo Maroni. ©Photo credit: pixabay
Un ampio e ricco capitolo del suo volume è dedicato ai Presidenti del Vittoriale. Tuttavia, Giordano Bruno Guerri, nell’introduzione, evidenzia una criticità notata appena arrivato a Gardone in veste di Presidente: l’assenza di una vera e propria storia del Vittoriale, al di là dei verbali dei consigli di amministrazione. Quali sono state le sfide nel ricostruire questa storia e, nel pubblicare – finalmente – un libro in merito?
Credo che uno degli aspetti più interessanti di questo lavoro sia stato cercare di comprendere il pensiero e lo spirito di tutti i Presidenti attraverso le operazioni che hanno compiuto. È stata una sfida, una bellissima sfida. Mi sono immersa nella lettura dei verbali dei consigli di amministrazione e in altri documenti, molti articoli e ritagli di stampa. Ogni volta che leggevo i documenti cercavo di immaginarmi presente alle sedute del CdA o agli eventi più importanti, una sorta di osservatrice silenziosa che cerca di dare testimonianza di ciò che è avvenuto. Non è stato sempre facile. In alcuni casi, soprattutto nell’immediato dopoguerra, la documentazione era più scarna, ma sono riuscita a ovviare andando a cercare le relazioni di presidenza. Ho cercato di raccontare le vicende di un luogo iconico come pochi attraverso le persone che hanno contribuito alla sua storia ed è stata un’operazione affascinante. Non posso nascondere che è stato molto utile per me il confronto con il Presidente Guerri.
L’importanza di Gian Carlo Maroni nella creazione del Vittoriale è indiscutibile. Sebbene molto sia stato scritto in merito, cattura l’attenzione una frase da lei citata, nel capitolo dedicato: l’estetismo sta anche nel cercare la bellezza come un’ossessione senza tregua, anche a rischio di passare per frivoli e snob.
Come pensa Maroni sia stato in grado di tradurre in pietra il pensiero estetico di d’Annunzio e di comprenderne i moti interiori?

L’architetto Giancarlo Maroni nella stanza della Leda
©Photo credit: Www.wikimedia.org
Gian Carlo Maroni era legato al Comandante (come l’architetto si rivolgerà a d’Annunzio fino alla fine) a livello profondo, ne comprendeva i desideri e ne concretizzava il pensiero. D’Annunzio dava indicazioni, si rivolgeva a lui per molti degli aspetti legati alla costruzione della Casa, a volte si lamentava se le cose andavo a rilento, era davvero attentissimo e Maroni è sempre stato in grado di interpretare correttamente il suo pensiero. Questo però non significa che fosse in qualche modo succube del grande personaggio, anzi. Il loro era un confronto. Se qualcosa non lo convinceva Maroni portava avanti il suo pensiero. Era un rapporto davvero incredibile perché non era semplicemente quello fra un committente e un esecutore, ma fra due personalità creative che si comprendono e contribuiscono insieme alla creazione di qualcosa di grandioso. Ognuno dei due inoltre esercitava la propria competenza in modo diverso. D’Annunzio non era particolarmente interessato per esempio agli aspetti più espressamente architettonici e lasciava carta bianca a Maroni. Quest’ultimo, d’altro canto, assecondava le necessità del Vate in merito all’arredamento e a molti altri aspetti.
All’interno ed all’esterno del Vittoriale nulla è lasciato al caso. Ogni pietra, ogni oggetto narrano una storia e ci spingono a saperne di più. Oggi, che ne celebriamo il Centenario, come potremmo spiegare questa eterna attrattiva?
L’attrattiva è proprio determinata dal fatto che nulla è lasciato al caso e credo che questo aspetto possa essere percepito da tutti, anche da coloro che si approcciano scetticamente al luogo e ai suoi ambienti. Ma proprio qui risiede il fascino del Vittoriale. Visitarlo può essere paragonato, a mio giudizio, come un viaggio all’interno dell’anima di d’Annunzio. Non tutto è immediatamente comprensibile, anzi la complessità costituisce uno degli aspetti fondamentali da tenere a mente quando lo si osserva. Ogni spazio è espressione e simbolo della vita di un uomo che ha precorso i tempi, dimostrando di possedere un intuito fuori dal comune, nonché una capacità di comprendere davvero il periodo in cui viveva che credo possano essere ammirati da chiunque.

Il Vate coi suoi cani nei giardini del Vittoriale.
©Photo credit: Brescia.oggi.it
Ha futuri progetti editoriali dannunziani in mente?
Io ho sempre molti progetti in mente, per fortuna possiedo una forte vena creativa. Ci sono molti aspetti della vita del Vittoriale che mi piacerebbe approfondire, soprattutto per quanto riguarda le opere d’arte (essendo io una storica dell’arte), ma sono progetti che devono ancora maturare quindi per ora cerco di godermi questo momento e l’uscita del libro.
Emanuela Borgatta Dunnett
In copertina: Valentina Raimondo. Cento anni di storia del Vittoriale degli italiani. L’incantevole Sogno. SilvanaEditoriale.
©Photo credit: books.google.it
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