di Eleonora Vallin

Ogni marchio ha una storia e un qualcosa di iconico che ne diventa il simbolo: l’aquila con le ali spiegate di Armani, la medusa di Versace, le due F invertite di Fendi, la doppia CC incrociata di Coco Chanel. Bottega Veneta ha l’intreccio. Ma non è sempre stato così.
Per risalire alle origini di un vero e proprio emblema, da sempre sinonimo di artigianalità e morbidezza delle forme, bisogna tornare agli anni ’40. Perché è allora, in tempi di macerie e guerra, che Renzo Zengiaro inizia la sua personale storia artigianale in un piccolo laboratorio di sartoria. E sarà proprio l’arte della stoffa ad essere determinante nel disegno dei modelli di borse.
Quando nel 1966 Zengiaro decide infatti di mettersi in proprio, non ha alcuna competenza nella lavorazione di cuoio e pellami. Ma, al fianco di Michele Taddei fonda a Vicenza, la sua città natale, un’azienda di borse attrezzando il laboratorio con macchine da cucire per tessuti.
Nasce “Bottega Veneta artigiana”. Zengiaro disegna e produce. Taddei segue il commerciale e le vendite.
Si sceglie il nome “Veneta” per rifarsi all’antica tradizione dei cuoi antichi rivisitati di Venezia. “Bottega” per l’artigianalità e il rimando all’arte. Le prime borse sono stampate con fantasie a farfalle, sono morbide, a sacco o a tracolla, sempre aderenti al corpo. Una vera e propria innovazione, perché stando alla moda dei tempi, nelle vetrine e sulle vie imperversavano solo borse a mano in pelle rigida.

Le prime borse sono stampate con fantasie a farfalle, sono morbide, a sacco o a tracolla, sempre aderenti al corpo.

Bottega Veneta predilige invece pellami ovini e conce all’anilina, tinture artigianali in botti che assicurano la presa del colore nel dritto e nel rovescio. Le idee sono già chiare: un prodotto d’élite. Produzione piccola. Distribuzione selezionata. Prezzo alto.

L’inizio non fu semplice né immediato, ma in due anni fu un vero e proprio exploit. Bottega Veneta, che continua a essere no-logo, lancia lo slogan: «Quando le iniziali non sono necessarie» e sbarca presto all’estero, aprendo uno store a New York sulla Madison, al tempo una via piena di negozi vuoti a sconto.
Siamo negli anni ’70 ed è a questo punto che arriva l’intreccio che, a dire il vero, è sempre esistito. Basti pensare alla iuta, i canestri, le borse di paglia.

Siamo negli anni ’70 ed è a questo punto che arriva l’intreccio che, a dire il vero, è sempre esistito. Basti pensare alla iuta, i canestri, le borse di paglia.

Le prime prove furono fatte su guanti di nappa. La trama era piccola, l’unica elaborata fino allora. Bottega Veneta (che nel frattempo era diventata Spa) ha il guizzo di avviare la lavorazione a intrecciati larghi, di varia misura a seconda del modello. A Parigi l’idea si rivelò un fiasco ma spopolò in Giappone e in Usa.
L’intreccio diventa così l’immagine aziendale e il logo in tutto il mondo. Per sempre.

Nel 1980, l’attrice Lauren Hutton indossa una borsa intrecciata Bottega Veneta nel film American Gigolò. Nel 2016 sfila in passerella a 70 anni con l’iconica borsa. Photo Credit: https://www.amica.it/2021/04/07/lauren-hutton-style-oggi-giovane-over-70/

Le vicende aziendali sono storia da manuale e Wikipedia.
Nel 2001 Bottega Veneta passa al gruppo Gucci e oggi fa parte del gruppo di lusso Kering. Anche la storia di Zengiaro però continua in Spagna, a Loewe, dove l’artigiano-imprenditore esporta a Madrid le sue forme morbide in nappa e per vent’anni contamina la Maison ufficiale dei reali di Spagna. Zengiaro si è ritirato a fine degli anni ’90. Nessun oggetto che abbia disegnato è oggi fuori tempo. Nell’immensa produzione che va dagli anni Quaranta a quasi il Duemila, si contano circa 20mila disegni. Migliaia di modelli e numeri ancora tutti racchiusi in un taccuino.

Eleonora Vallin @eleonoravallin

Per la copertina Photo Credit https://italian-traditions.com/